Metodi
per valutare il nostro flusso ematico cerebrale a riposo e in attività
DIANE RICHMOND
NOTE E NOTIZIE
- Anno XV – 02 giugno 2018.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Non molti sanno che il primo
documento scientifico che registra un tentativo di misura del flusso ematico
cerebrale risale all’incirca al 1880, quando Angelo Mosso registrò le
pulsazioni provenienti dal cervello in pazienti che presentavano difetti ossei
della teca cranica. Da allora si sono compiuti progressi straordinari nello
studio del rapporto vitale fra cuore e cervello attraverso le dinamiche di quel
tessuto fluido che è il sangue.
Tymko e colleghi ripercorrono la storia dei metodi adoperati per la misura del
flusso ematico cerebrale nell’uomo, in una rassegna che fornisce importanti
elementi di aggiornamento sui rilievi della corrente ematica essenziale per la
funzione cerebrale, in condizioni di riposo e durante l’esercizio motorio.
(Tymko M. M., et al. Evaluating the methods used for measuring cerebral blood
flow at rest and during exercise in humans. European
Journal of Applied Physiology - Epub ahead of print doi: 10.1007/s00421-018-3887-y,
2018).
La provenienza
degli autori è la seguente:
Centre for Heart, Lung and Vascular
Health and Exercise Science, Faculty of Health and Social Development,
University of British Columbia, Kelowna (Canada); School of Sport Science,
Exercise and Health, The University of Western Australia, Crawley, WA (Australia).
Lo studio del flusso ematico
cerebrale è di estremo interesse per la frequenza e la gravità delle patologie
cerebrovascolari - in primo luogo l’ictus - ma anche per il ruolo che ha
nell’attività cognitiva, affettivo-emozionale, motoria in generale e sportiva
in particolare.
È noto che il nostro encefalo
è estremamente sensibile alle variazioni di ossigeno e vulnerabile all’ipossia:
è sufficiente un’anossia che duri pochi secondi per causare sintomi
neurologici; se il deficit di O2 si protrae per alcuni minuti si ha
un danno neuronico irreversibile. L’apporto ematico al sistema nervoso centrale
garantisce infatti ossigeno, glucosio ed altri nutrienti, rimuovendo CO2,
acido lattico ed altri cataboliti.
Sebbene il cervello umano
costituisca solo il 2% del peso corporeo totale, riceve approssimativamente il
15% della gittata sistolica e consuma circa il 20% dell’ossigeno utilizzato
dall’intero organismo, per la sua alta attività metabolica che si associa a
richieste di energia straordinariamente elevate rispetto ad altri organi e
tessuti. Il flusso ematico totale del cervello va dai 750 ai 1000 ml/min., con
circa 350 ml di questa corrente ematica che giunge al parenchima cerebrale
attraverso ciascuna delle due arterie carotidi e la rimanente quota del 100/200
mL che vi giunge dai vasi del sistema vertebro-basilare. Il flusso per unità di
massa della materia grigia, costituita dai corpi cellulari dei neuroni e dalle
arborizzazioni dendritiche, è approssimativamente quattro volte quello della
sostanza bianca, costituita prevalentemente dai cilindrassi rivestiti dalla
mielina oligodendrocitica.
I vasi cerebrali modificano il
loro diametro adattando così il parametro volumetrico al mutare delle
condizioni fisiologiche. Si conoscono due meccanismi principali di
autoregolazione: il primo consiste nella variazione del diametro vasale alla
pressione, il secondo riguarda i gas e il pH.
Le arteriole encefaliche
rispondono con una reazione vasocostrittiva all’innalzamento della pressione
sistolica sistemica e con una reazione vasodilatativa all’abbassarsi della
pressione sanguigna. La precisione di questo tipo di regolazione assicura il
mantenimento di una corrente costante, necessaria e sufficiente alla normale
fisiologia dell’encefalo, e caratterizzata da una pressione arteriosa media tra
i 60 e i 150 mm Hg. Per valori pressori superiori o inferiori, il flusso
ematico cerebrale aumenta o decresce linearmente.
Il secondo tipo di
autoregolazione implica la risposta del diametro arteriolare alle variazioni di
CO2 e O2, con conseguenti modificazioni del pH: quando cresce la CO2 del sangue arterioso
cerebrale, le arteriole si dilatano ed aumenta il volume di sangue a
disposizione di neuroni ed astrociti per unità di tessuto; l’ipocapnia, al
contrario, induce vasocostrizione con riduzione della portata ematica.
L’inalazione del 5% di CO2 accresce il flusso di sangue del 50%. Le
variazioni dell’ossigeno inducono risposte di entità decisamente minore e,
ovviamente, di segno opposto: respirare ossigeno puro riduce il flusso ematico
solo del 13%. I meccanismi di queste risposte non sono ancora bene definiti[1].
L’interessante rassegna di Tymko e colleghi riporta che nel 1890 Charles Roy e Charles Sherrington, il
neurologo che scoprì le leggi fondamentali che regolano la contrazione
muscolare, per cercare di stabilire se vi fossero variazioni del flusso
sanguigno cerebrale negli animali per effetto di vari stimoli e condizioni,
provarono a rilevare le pulsazioni delle arterie del cervello in vari
esperimenti. I due studiosi, adottando una procedura simile a quella impiegata
da Angelo Mosso nell’uomo per rilevare la frequenza del polso arterioso
cerebrale, registrarono variazioni indotte dalla stimolazione dei nervi
sensoriali, dall’asfissia e da interventi farmacologici.
Nel periodo che va dal 1890 al
1944, tutti gli esperimenti di valutazione e misura del flusso sanguigno encefalico,
che si conoscono dai documenti scientifici dell’epoca, sono stati condotti su
esseri umani e si sono basati sulla presenza di anomalie ossee del neurocranio
che consentivano di accedere a tessuti prossimi alla sede delle vibrazioni
trasmesse dalla pulsazione arteriosa.
Nel 1945 Kety[2] e
Schmidt introdussero un nuovo approccio metodologico, la cui ratio è stata oggetto di insegnamento
nei corsi medici di tutto il mondo per decenni: il metodo implicava la
diluzione di NO combinata con un campionamento seriale del sangue arterioso e
venoso giugulare.
Meno di dieci anni dopo, negli
anni Cinquanta, vari gruppi di ricerca impiegarono il metodo Kety-Schmidt per valutare gli effetti dell’esercizio fisico
sul flusso ematico cerebrale complessivo e sul metabolismo. Questi studi
dimostrarono un disaccoppiamento fra flusso ematico cerebrale e metabolismo
durante l’esercizio, un dato interessante e in aperto contrasto con le ipotesi
del tempo. La metodica, tuttavia, presentava alcuni importanti limiti, quali
una bassa risoluzione temporale e incapacità di misurare il flusso cerebrale
regionale.
Negli anni Sessanta questi
limiti sono stati superati con lo sviluppo del metodo ultrasonico Doppler transcranico (TCD), che consentiva di misurare battito per
battito la velocità del sangue.
Tra il 1990 e il 2010, il TCD ha
fatto ulteriormente progredire le nostre conoscenze sulla regolazione del
flusso ematico cerebrale e ha consentito di riconoscere altri fattori,
indipendenti dal metabolismo locale, implicati nei meccanismi di regolazione
del flusso ematico durante l’esercizio motorio.
Recentemente, notano Tymko e colleghi, si è scoperto che il TDC può non essere
preciso in varie condizioni fisiologiche.
Le possibilità attualmente
impiegate, per ottenere maggiori e più precise informazioni sul flusso
sanguigno cerebrale locale e globale, includono il DU (duplex ultrasound) e la MRI, con i noti
limiti che attendono di essere superati.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E
NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Si ritiene che l’effetto vasodilatativo della CO2 sulle arteriole cerebrali sia mediato da variazioni del pH extracellulare. Si è dato rilievo alle concentrazioni locali di K+ e adenosina, entrambi in grado di indurre vasodilatazione.
[2] Louis Sokoloff, suo collaboratore, così ha ricordato Seymour S. Kety dopo la scomparsa avvenuta nel 2000: “Scoprì un metodo per misurare il flusso sanguigno nel cervello, fu il primo direttore scientifico dell’NIMH e produsse le evidenze decisive dell’implicazione di fattori genetici nello sviluppo della schizofrenia” (Fred Wendorf, Biographical memoirs, pp. 61-79, National Academy of Sciences, Whashington 2003).